Profili di corsa: Stephanie Madsen
Mi sento sempre molto fortunata nel poter aiutare le persone a realizzare i propri sogni di corsa. La tipologia degli atleti che incontro sulla mia strada (lavorativa) è molto variegata. Alleno sia uomini che donne, italiani e stranieri (perché con internet si può viaggiare!), tutti con obiettivi diversi: correre più veloci, andare più lontano o, semplicemente, imparare a muoversi senza farsi del male.
Le loro storie sono bellissime e mi sono persuasa che andavano raccontate. In ‘Profili di corsa’ intervisterò i runner che alleno e proverò a raccontare un po’ della loro storia. Sono sicura che troverete ispirazione come accade a me tutti giorni.
La prima è Stephanie Madsen, un’americana che abita in Italia già da tempo. Lei è partita con un progetto ambizioso: correre, nell’arco di un anno, una maratona in ognuno dei sette continenti!
Cosa ti ha ispirato ad iniziare il progetto di correre i sette continenti, ovvero, una maratona su ogni continente?
L’idea mi è venuta durante una corsa lunga della domenica. Avevo sentito parlare del Club dei Sette Continenti (una maratona su ogni continente) e che sarebbe stato una figata correre su ogni continente. Poi, ho pensato che sarebbe un’avventura fantastica completarle nel giro di un anno. Uno dei miei obiettivi compiuti era di correre una maratona prima dei miei quarant’anni. I sette continenti era diventato l’obiettivo per il mio quarantacinquesimo anno. Entrambi i miei figli sarebbero all’Università e sarei stata libera di correre quanto volevo e studiare la lingua francese (e la loro cucina!).
E la tua esperienza nello sport e con la corsa?
Sei anni fa ero a Lincoln Park con mia madre ed bambini e abbiamo incontrato il preside della mia scuola elementare. Ci ha detto che io tenevo ancora il record di corsa sui 1600 metri per il nostro distretto scolastico. Non era ancora stato battuto dal 1985! Forse lui voleva solo essere gentile ma mia mamma ha insistito che doveva essere vero.
Al primo anno di liceo ho partecipato alle gare di corsa campestre. Avevamo una bella squadra ed è stato molto divertente. In primavera correvo in pista. 3200 metri era la mia gara, ma Coach Hopkins mi faceva fare 400 e 800 metri e le staffette. In una gara in particolare ho corso sempre sul lato destro dell’avversario. Non riuscivo proprio a passarla davanti fino a quando non siamo arrivati negli ultimi duecento metri e ho pensato “basta, io sono più veloce di te!” Ho fatto lo sprint finale per vincere. Il mio allenatore era furioso. “Se tu avevi tutta quell’energia avresti dovuto sfruttarla prima!” Ho finito quarto nei campionati della città e ho corso poi nei finali statali quell’anno. Ancora oggi non riesco a correre sul lato destro di nessuno.
Da grande correvo ogni tanto, niente di che, un paio di chilometri quà e là. Questo fino a quando non iniziò il progetto “una maratona prima dei 40”. Mio padre mi comprò un libro su come prepararla in sedici settimane (Marathon Method di Tom Holland) e mia mamma mi ha regalato un Garmin per iniziare il mio sogno da maratona. Durante gli allenamenti mi meravigliavo ogni volta che allungavo la distanza. Ero stupito che i miei piedi mi portavano da un punto all’altro e poi di nuovo a casa.
Cosa ti ha spinto a cercare un allenatore per aiutarti nella preparazione?
Sapevo che correre sette maratone su sette continenti in un anno solare sarebbe stato un obiettivo impegnativo. D’altronde avevo anche sentito di persone ancora più folli che avevano partecipato agli Ironman! Mi sentivo di aver superato ciò che un libro o programma scaricato da internet poteva offrirmi. Avevo bisogno di un programma più personalizzato. Il mio nipote aveva parlato di Julia e ha suggerito che ci incontrassimo. Lui sicuramente pensava che avremmo avuto tante cose in comune: alte, bionde e donne americane che corrono!
Quale maratone o continente è stato il più interessante fino ad ora?
Ogni gara è veramente speciale per diversi motivi. Mia madre è cresciuta a San Francisco e quella maratona è stata difficile e molto emozionante per me. Lei era deceduta l’anno prima ed era la prima volta che ci ritornavo. Avevo mio fratello e mio figlio con me come squadra di sostegno. E’ stato un weekend indimenticabile. Anche se, devo dire, ho visto alcuni maratoneti in gara che indossavano la maglietta all’anno precedente e ho pensato “chi farebbe mai questa gara due volte ?!” La discesa era duretta.
La mia seconda maratona era la Venicemarathon, dietro casa. Il giovedì avevo organizzato una pasta party a casa mia per raccogliere soldi per AIRC e sono arrivata a € 3000! Domenica avevo molti amici sul percorso a fare tifo. Mentre correvo sul Grand Canal ho pensato “ma quanto sono fortunata”. Veramente, ho questo stesso pensiero alla partenza di ogni gara.
La prossima è stata a Queenstown, Nuova Zelanda. Mentre ero a San Francisco ho incontrati i miei zii e mi hanno raccontato che la loro figlia maggiore, Andrea, era andata a vivere a Christchurch un paio di anni fa per allevare capre. Ho potuto passare tempo con lei e la sua famiglia prima e dopo la gara. Con una laurea dall’Università di Stanford deve essere l’allevatrice di capre più educata in quel paese. Ho guidato per tutta l’isola e mi sono innamorata del paesaggio rude.
Non ho mai visto paesaggio così mutevole né incontrato persone così amichevoli. Queenstown è chiamata la capitale dell’avventura del mondo; paracadutismo e bungee jumping sono in cima alla lista delle attività. La maratona è stata dura; il percorso è stato in gran parte su trail e con una collina assolutamente massiccia. Sono fiera di non camminare in gara ma quella volta sono stata costretta prima di arrivare in cima. Tuttavia, camminare mi ha dato un momento per riprendere fiato e ammirare la bellezza del lago riempito di barche a vela che vedevo sotto. Mentre attraversavo la linea del traguardo lo speaker ha chiamato il mio nome e mi ha ringraziato per aver scelto la Queenstown Marathon come destinazione della mia gara in Oceania per i sette continenti. Ho festeggiato con il mio solito: birra e un Big Mac. Scusate, è nella mia DNA!
Una settimana dopo alle quattro e trenta di mattina ero sul autobus con le mie amiche Martina e Rossana per andare alla partenza della Bagan Temple Marathon. La partenza è stata bellissima. Guardando il sole che sorge mentre correvamo accanto ai resti di oltre 2.200 templi dal undicesimo al tredicesimo secolo è stato favoloso. Mentre mi guardavo intorno godendo il panorama ho visto delle mongolfiere galleggiando sopra nel cielo. Ancora una volta ho pensato: “ma quanto sono fortunata”. Come si è visto, molto! A metà strada mi congratulò per essere a metà del mio obiettivo. Felicità. Mi sono sentita ancora più felice quando negli ultimi cinquecento metri hanno annunciato che ero arrivata terza assoluta delle donne. Ho volato verso il traguardo. Tre maratone in trentatré giorni…
Il 31 gennaio a Marrakech ho raggiunto un altro obiettivo: ho finito una maratona in meno di quattro ore, 3:55:41 per la precisione. Ho sempre creduto che il tempo cronometrico non aveva importanza e che per me era più che sufficiente partecipare e arrivare in fondo alla gara tutte le volte. A Marrakech ho avuto l’aiuto di mio pacer personale, un amico che avrebbe corso gli ultimi chilometri con me quando divento pigra e rallento. Negli ultimi chilometri mi ha tenuto in perfetto orario, incoraggiandomi ad ogni passo. Ero così felice. In quella settimana ogni tanto mi fermavo e pensavo, “Wow! Ho corso una maratona in 3:55:41 …”
Julia non mi ha dato molto tempo per prosperare nel mio successo, la maratona in Antartide era fra meno di sei settimane e dovevo iniziare gli allenamenti. Antartide è stata sicuramente la maratona più avventurosa. Viaggiare per migliaia di chilometri su un rompighiaccio russo, attraversare il Passaggio di Drake con onde enormi era già un’avventura. Per scendere dalla nave dovevamo attrezzarci con giacche, pantaloni e stivali per poi prendere il gommone e raggiungere la linea di partenza. Il meteo era sicuramente degno dell’Antartide: in continua evoluzione! Aveva nevicato la notte prima e c’era neve per terra.
A colazione piovigginava ma alla partenza era diventata proprio pioggia. Al decimo chilometri è spuntato il sole per cinque minuti seguito subito dopo da una nuvola scura e colpi di vento. Al trentesimo chilometro il vento tirava sino a cinquanta nodi ed il nevischio gelido tagliava gli occhi e rendendo la visione impossibile. Ho corso attraverso fango e pozzanghere ghiacciate e con i piedi bagnati fradici e congelati. Non mi importava, volevo solo tornare alla nave. Ho finito la gara in secondo posto in 4:19:00, trentotto minuti la campionessa Australiana e vincitore della maratona di Sydney. Una soddisfazione enorme e mi sentivo benissimo.
Come hai trovato il carico di lavoro e gli esercizi?
Adoro gli allenamenti e gli esercizi! La cosa più difficile per me era di imparare le varie velocità richieste in allenamento. Era anche difficile all’inizio ricordarmi quanti minuti dovevo correre ad una velocità e quanti chilometri ad un altra. Diciamo che anche il mio cervello si è allenato.
Mi piace molto guardare il programma della settimana, mi piacciono le variazioni che Julia mi dà per ogni allenamento. Avere un programma di allenamento personalizzato mi ha aiutato a diventare un atleta più sicuro e più forte. Abbiamo anche discusso sulla nutrizione pre gara e durante la gara che per me è stato un punto di svolta.
Dopo aver conquistata il continente del Sud America alla maratona di Lima nel Perù e dopo questo enorme progetto dei sette continenti, quale sarà la tua prossima avventura?
Eventualmente mi piacerebbe provare le ultra maratone ma in questo momento mi sento di poter ancora dire la mia sulla distanza della maratona. Sicuramente devo togliere quei quarantuno secondi e qualificarmi per Boston. Poi, chissà, ogni paese Europeo? Non sono sicura ma so per certo che qualcosa mi verrà in mente!