Ironman Barcelona 2015, Part II
L’Ironman di Barcelona non si svolge precisamente ….a Barcellona ma a Calella, una cittadina ad una cinquantina di chilometri a nord-est.
Il nostro albergo si trovava proprio di fronte all’arrivo, con vista mare. Mentre pranzavamo ad un ristorante locale ho deciso che un piatto di “paella” sarebbe stato il pasto perfetto per i giorni successivi. Con riso, pesce e pezzi di pollame era la combinazione perfetta di carboidrati e proteine pre-gara.
Nel pomeriggio ho dato un’occhiata all’expo (va beh, solo io…) e, poi, siamo andati sulla spiaggia per guardare il percorso del nuoto.
Sembrava un quadro perfetto: un mare azzurro-turchino piattissimo, come se fossimo in vasca. Ho pensato: “Ooooh, sarà bellissimo!”
Poi mi sono svegliata la mattina successiva (sabato) e tutto era cambiato. Il cielo era grigio inquietante, come se volesse tirarci un brutto scherzo. Le raffiche di vento avevano ingrossato il mare. Io e Piero siamo andati sulla spiaggia per osservare alcuni atleti (pazzi??) che cercavano di nuotare. Galleggiavano sulle onde che si alzavano di oltre un metro. Mi veniva il mal di mare solo a guardarli.
Ho registrato la bicicletta e lasciato le borse per le transizioni nel tendone. La zona cambio era ben organizzata e, di nuovo, proprio sulla spiaggia. Ho coperto la bici con un telo di plastica per proteggerla dalla tempesta in arrivo. Accanto a me c’era un gruppetto di atleti Danesi che guardavano il mare.
“Scusate, posso farvi una domanda? Se il mare è così agitato domani pensate che ci faranno nuotare lo stesso?”
Un giovane biondo ha risposto per il gruppo, senza manifestare il minimo dubbio: “Io penso che assolutamente sì, ci faranno nuotare lo stesso anche con il mare così.”
Fantastico.
Cercai di non agitarmi troppo perché, in ogni caso, non c’era nulla che potessi fare per cambiare la situazione. Piero mi ha assicurato che il mare si sarebbe calmato perché il vento stava cambiando. Madre Natura aveva una notte intera per mettere le cose a posto e darci un percorso di nuoto decente. Ma qualunque cosa dovesse succedere, era totalmente fuori dalle mie mani.
Ho dormito benissimo quella notte, situazione per me insolita prima di una gara. Mi sono alzata e con Piero siamo andati alla partenza. Sapevo che sarebbe stata una giornata lunga, così ho lasciato Evan a dormire un altro po’. Olivia e suo compagno Federico sarebbero arrivati per vedere la partenza.
Al sorgere del sole la spiaggia era già piena di atleti vestiti in neoprene. Alcuni si stavano scaldando in acqua, qualcosa che ho scelto di non fare. L’acqua era ancora agitata con onde lunghe che arrivavano a riva. Mi sono infilata nella muta e preso cuffia e occhialini. Mi sono assicurata di avere i tappi per le orecchie e ho cominciato ad incamminare verso la partenza.
Quest’anno gli organizzatori dell’Ironman Barcelona avevano cambiato le procedure di partenza che, per me, hanno funzionato alla perfezione. Sulla spiaggia era stata predisposta una serpentina e ogni dieci metri era segnato il tempo di nuoto che gli atleti credevano di poter fare. Mi sono piazzata sotto il cartellone 1:25:00. Nell’attesa ho chiacchierato con una signora Finlandese al suo primo Ironman. La musica che veniva fuori dagli altoparlanti era a lenta e rilassante. Mentre parlavo con la mia nuova amica, ho sentito l’annuncio del mio compleanno e lo speaker mi augurava una fantastica gara! Ho iniziato a saltare come una scema “sono io!!” e le persone che mi stavano intorno hanno applaudito e fatto gli auguri.
Poi è arrivato il momento di spostarci in avanti.
Ci tuffavamo silenziosamente in acqua come dei lemming. E’ stata una processione lenta con solo una decina di atleti per volta. So per certo che molti atleti capaci di nuotare sotto i sessanta minuti non hanno apprezzato il nuovo sistema di partenza ma per me era ideale. Molto molto meglio che (in duemila) litigare per lo stesso spazio d’acqua.
L’acqua non era fredda ma navigare sulle prime onde richiedeva concentrazione. Sono arrivata facilmente alla prima boa per poi girare verso ovest ed iniziare a contare i metri. Le boe erano marcate ogni 500 metri ed il primo tratto di 1.450 metri sembrava facile. In effetti era così perché avevamo la corrente a favore.
Al giro abbiamo nuotato ancora 100 metri a sud per poi virare a sinistra, verso est, e tornare indietro per un rettilineo di 1.750 metri. Ora nuotavamo contro corrente e dovevo veramente mantenermi concentrata.
Ho cominciato a sentir un po’ di nausea e ho cercato di scacciarla con pensieri new age, del tipo: l’acqua scorreva intorno a me ed ero una cosa unica con la natura. Non ha funzionato per niente!
Mi sono fermata per spingere l’aria fuori dalla pancia mentre guardavo la boa successiva che segnalava i 2.500 metri. Ero quasi a ridosso dei 3.000 metri quando un motoscafo della sicurezza passò lasciando una scia di gas di scarico. Non ce l’ho più fatta.
Ho segnato ad uno dei kayak d’assistenza di avvicinarsi, mi sono aggrappata alla prua e ho vomitato nel mare. Stavo meglio ma ho aspettato un paio di minuti per calmarmi prima di proseguire. Mi sono scusata con la ragazza del kayak, l’ho ringraziata e ho cominciato a nuotare di nuovo.
Virando alla boa dei 3.000, vedevo la riva a 300 metri di distanza. Sembrava sia vicina che lontana. Ho impiegato altri dieci minuti per arrivarci, con le onde che mi tiravano e mi spingevano, avanti e indietro.
Quando i miei piedi finalmente toccarono la sabbia, affondai sino al ginocchio. Uno dei volontari mi aiutò a tirarmi su e fuori dall’acqua. Correvo verso l’uscita e strizzavo un occhio per vedere il tempo sul mio orologio mentre passavo sul tappeto del chip: <strong>1:40:26</strong>.
Quando ero ancora in ospedale e pensavo già come mi sarei preparata, trovai un blog online scritto da un giornalista americana, Sharon McNary.
Sharon aveva rotto un gomito due mesi prima di gareggiare a Kona, Hawaii, al Campionato del Mondo. Le ho scritto un email e mi ha gentilmente risposto, “Se riesci a finire il nuoto molto probabilmente andrà tutto bene per le altre due frazioni.”
Grazie a Sharon mi sentivo più fiduciosa e pronta per salire sulla bici.
Dura resistere ed aspettare la parte 3.
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